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Istituto Canossiano San Trovaso

Istituto Canossiano San Trovaso

Venezia

Situato nel centro storico di Venezia Dorsoduro, il complesso monastico deve il suo inizio ad un lascito di Santo Donadoni che nel 1694 consentì alle monache Eremite della Regola di S. Agostino di trasferirsi qui dalla loro piccola sede di San Marcuola. Dopo la soppressione napoleonica del 1810, l’anno successivo i Conti Cavanis ottennero di poter trasferire alle Romite la Scuola femminile di Carità. Più tardi, nel 1863 vi si stabilirono le Suore Canossiane che vi impiantarono una sede scolastica, con numerose classi e dormitori che potevano ospitare centinaia di allievi. Annessa all’Istituto, vi è la piccola Chiesa di Gesù, Giuseppe e Maria, edificata nel tardo '600 e attribuita all'architetto Giovanni Battista Lambranzi, in stile barocco. La confortevole Casa, con i grandi cortili interni e le aiuole, consente a chi vi soggiorna di trascorrere momenti di riflessione e riposo.

www.romite1323.com

 

Come arrivarci:

IN TRENO: arrivo alla stazione ferroviaria di Venezia S.Lucia e da lì vaporetto di linea. VAPORETTO Linea 1 - Direzione S. MARCO – circa 30 minuti Il vaporetto percorre Canal Grande in tutta la sua lunghezza. Scendere a CA’ REZZONICO, la fermata successiva a San Tomà.
A PIEDI: scesi dal vaporetto, percorrere la Calle del Traghetto fino a Campo San Barnaba. A metà campo, sulla sinistra, imboccare il Sottoportico Casìn dei Nobili. Percorrere la calletta, attraversare il ponte e, prima di finire gli ultimi gradini del ponte, a destra, prendere Fondamenta Lombardo. Alla fine della fondamenta di fronte a voi, al di là del canale, sulla Fondamenta Rio delle Romite si trova l’entrata dell’istituto.
IN AUTO: fino a Piazzale Roma e lì parcheggiare. Da lì a Piedi o in vaporetto.

 

I CORSI

27 / 31 agosto

IL PIENO E IL VUOTO
L’idea di Spazio tra Occidente e Oriente

Prof. A.G. CASSANI - Prof. M. RAVERI

Siegfried Giedion, lo storico ufficiale del “movimento moderno”, sosteneva che tre sono le concezioni dello spazio nell’architettura occidentale: l’architettura come espressione plastica, l’architettura come spazio interno e l’architettura come espressione plastica e spazio interno, dunque una sintesi tra le prime due. Se la prima concezione concerne l’architettura greca e la seconda quella romana, la terza riguarda il nostro tempo, dal Novecento a oggi. Inoltre, nella storia dell’Occidente, questi cambiamenti sono sempre stati accompagnati da un’evoluzione nei materiali costruttivi: pietra, opus cæmenticium, acciaio e cemento armato. Ma proprio nel secolo scorso qualcosa è cambiato: alcuni grandi architetti – Frank Lloyd Wright, Louis I. Kahn e Carlo Scarpa – si sono confrontati con una differente idea di spazio, quella orientale, e in particolare con l’“eliminazione dell’insignificante”. In effetti, le concezioni attraverso cui le culture dell’Asia Orientale hanno interpretato simbolicamente lo spazio, lo hanno vissuto e modellato architettonicamente, esprimono una radicale alterità. Questa alterità è il frutto dell’intersecarsi di diverse Vie religiose: dall’umile e antica fede Shinto alle visioni estatiche degli sciamani, dalle meditazioni taoiste alle sofisticate speculazioni della tradizione buddhista. Sono prospettive ideologiche e sensibilità estetiche che si rivelano nella freschezza naturale dei materiali, nella distribuzione dei volumi, nella purezza ed essenzialità delle linee, nell’azzardo improvviso dei colori, nella voluta irregolarità delle prospettive. Sono tensioni dinamiche, sempre molto libere – come è sempre stato libero il pensiero dei maestri di spiritualità – di forme che vogliono esprimere l’impermanenza del nostro esistere e al tempo stesso dirne tutto l’incanto. E tutto alla fine si concentra su un punto ultimo in cui ogni linea prospettica si annulla – la cima di una montagna sacra, la spoglia essenzialità di un giardino di pietra, una stanza di tatami libera di ogni cosa, un muro bianco, le nebbie con cui il pittore vela i dettagli di un paesaggio – e in questo fare silenzio di ogni forma espressiva, nell’accettare di abbandonare ogni pensiero, raggiungere la verità del vuoto.

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